“Abbiamo trovato un territorio ricco di angoli selvaggi, nel senso anglosassone del termine, wild. Luoghi dove non c’è traccia apparente del passaggio dell’uomo, o dove questa, se c’era, è stata con il tempo occultata dalla natura. Con tutto ciò che di positivo o di negativo questo comporta. Il ritorno della fauna autoctona e l’aumento della flora boschiva, che il recente passato aveva decimato e tagliato. La sparizione dei segni lasciati sulla montagna dalla civiltà contadina e pastorale. Tutto un patrimonio di segni lasciati da chi ci ha preceduto su queste montagne. Testimonianze di una vita dura, umile, che, passo dopo passo, pietra dopo pietra, ha creato i sentieri, i muri a secco, le “caselle”, gli stazzi e tutti quei segni che hanno modellato il paesaggio/passaggio dell’uomo sul territorio. Sono segni che lasciano/lanciano un messaggio forte a chi li riscopre, segni che meritano di essere ricordati dalle/alle future generazioni.
Abbiamo trovato una montagna vissuta non tanto dagli escursionisti, quanto da chi di montagna vive. Pastori, contadini, taglialegna. Una montagna che è risorsa, come lo è stata per millenni, per coloro che la abitano.
Abbiamo incontrato, con inusuale frequenza, le volpi, i caprioli, le lepri, e le tracce di tanti altri mammiferi. Molto spesso, alzando lo sguardo, abbiamo visto volteggiare i rapaci e sentito il caratteristico verso delle coturnici in fuga.
Abbiamo trovato la poesia e l’eleganza della natura, in tanti luoghi nascosti, indisturbati, lontani dai sentieri escursionistici più battuti.
Abbiamo trovato un territorio ricco d’acqua: fiumi e ruscelli, forre, fenomeni carsici, fontanili scolpiti; e ricco di storia: stazzi, masserie, resti di mura Sannitiche, castelli medievali ed emergenze archeologiche romane.”